La scrittura giapponese

La scrittura giapponese nacque per importazione del sistema di scrittura cinese, alla fine del IV secolo d.C.; prima di allora non ci sono prove certe che il Giappone avesse sviluppato un suo sistema: anche se intorno al 1930 furono ritrovati dei reperti con iscrizioni molto antiche dette Jindai moji, non si è ancora certi della loro datazione e origine. Ciò che è sicuro è che il Giappone venne a contatto con la scrittura cinese attraverso oggetti importati dalla Cina e che a partire dal IV e V secolo iniziò a produrre dei testi con caratteri cinesi; in giapponese i caratteri cinesi si chiamano kanji.

Un kanij, cioè un carattere giapponese. Questi è il kanij che significa 'libro, scrittura, calligrafia' in giapponese
1. Un kanji, carattere giapponese. Significa 'libro, scrittura, calligrafia'.

Inizialmente i testi venivano scritti in cinese classico; solo dopo si cominciò ad adattare la scrittura cinese alla lingua e alla fonetica giapponese. Il primo passo fu fatto quando si ‘liberarono’ i kanji dal loro significato semantico per impiegarli solo per il loro suono: perciò, da ideogrammi, divennero dei fonogrammi, adatti a trascrivere i suoni del giapponese. Questo sistema di scrittura prende il nome di man’yōgana, e risale a VII secolo; veniva usato soprattutto per i componimenti poetici.

Il Giappone importò direttamente molte parole cinesi per cui non aveva termini equivalenti; questo fa sì che in giapponese ci siano molti termini che hanno una lettura particolare, detta on’yomi, che ricorda molto la pronuncia cinese; invece la lettura secondo la pronuncia giapponese viene detta kun’yomi. Un kanji, ad esempio, può avere lettura on’yomi se ha valore radicale, composto con altre particelle, e invece avere pronuncia kun’yomi quando è solo.

Il giapponese sviluppò con il tempo una forma di scrittura sillabica, proprio a partire dal man’yōgana, che è capostipite di due forme di scrittura più moderne, hiragana e katakana, tradizionalmente attribuite all’invenzione del monaco buddista giapponese Kūkai, nel IX secolo. Hiragana e katakana sono sistemi di scrittura sillabici, in cui, cioè, ogni carattere rappresenta una sillaba; i loro caratteri sono nati a partire dai kanji, di cui utilizzano solo alcuni tratti e forme parziali o semplificate; in origine avevano lo scopo di descrivere la pronuncia dei caratteri cinesi, poi hanno conquistato autonomia di forme di scrittura sillabiche per la lingua giapponese.

Il giapponese moderno impiega perciò tre forme di scrittura:

  • kanii per i nomi (comuni e propri) di persone e cose e per le radici di parole come verbi, aggettivi, ecc.;
  • hiragana è una forma con tratti arrotondati, che serve a esprimere parti flessive di verbi e aggettivi, particelle grammaticali, ed è anche impiegato per descrivere la pronuncia dei kanji, facilitandone in tal modo la lettura agli scolari; in origine era considerato ‘la scrittura delle donne’.

    2. Caratteri hiragana con, in basso, il loro valore sillabico.
  • katakana, invece, ha dei tratti rigidi e angolosi, e viene impiegato più o meno come il nostro corsivo, ovvero per scrivere nomi e termini stranieri, per dare enfasi, per le forme onomatopeiche e per i termini tecnici. In origine era considerato ‘la scrittura degli uomini’.

    3. Caratteri katakana e, in basso, il loro valore sillabico.

Il giapponese impiega anche caratteri dell’alfabeto latino per le parole importate dall’Occidente o per marchi a cui si vuol dare diffusione internazionale.

Tradizionalmente il giapponese si scrive in colonne dall’alto verso il basso e da destra a sinistra, ma al giorno d’oggi è molto comune anche il sistema all’occidentale, con il testo distribuito in righe da sinistra a destra; molti libri vengono stampati anche così.

I kanji impiegati in giapponese sono circa 10.000. Recentemente, nel 1981, il governo ha redatto una lista di caratteri di uso generale (1945 caratteri regolari + 166 caratteri speciali usati per i nomi di persona): sono i caratteri che si insegnano per primi agli scolari, indispensabili per comprendere testi generici. Per comprendere testi specialistici o letterari è necessario imparare altri due o tremila kanji.

Calligrafia giapponese

La calligrafia giapponese, detta shodō, trae origine da quella cinese; in effetti i maestri cinesi sono stati a lungo studiati e imitati dai giapponesi per imparare questa arte; per questo motivo gli stili principali della calligrafia cinese si ritrovano anche in quella giapponese: tensho, lo stile del sigillo; reisho, lo stile clericale; kaisho, lo stile regolare; gyōsho, lo stile corrente;  sōsho, lo stile d’erba.

Il primo calligrafo grandemente apprezzato in Giappone fu un cinese, Wang Xizhi, popolarissimo nel VII secolo: l’imperatrice giapponese Komyo lo stimava molto e produsse delle copie dei suoi lavori.

Per molto tempo la calligrafia giapponese si espresse tramite la copia di testi e caratteri cinesi. Nel 749 apparve per la prima volta un componimento poetico scritto con uno stile nuovo e originale, che presto venne adottato anche dall’imperatore e si diffuse in tutto il regno con il nome di stile  wayo.

Dal 1200 al 1500 circa, in Giappone ebbe grande diffusione il buddismo, che influenzò molto anche la calligrafia: dapprima ebbe larga diffusione lo stile regolare cinese proprio a partire dai monaci buddisti cinesi; poi dai monasteri zen giapponesi si diffuse uno stile corsivo molto elegante e l’abitudine di integrare l’arte calligrafica alla cerimonia del tè, rito spirituale e sociale di grande importanza; la cerimonia del tè prevede uno spazio arredato secondo determinati principi, e spesso alle pareti viene appesa un rotolo, detto kakemono, con una scritta con inchiostro nero su foglio bianco, in armonia con la filosofia zen; si dice che guardare queste scritte aiuti a purificare la propria mente.

Dal 1600 fino al 1850 circa, durante il periodo Edo, il Giappone promosse una politica di isolazionismo nei confronti dei paesi esteri; fu una fase di pace e prosperità, durante la quale la calligrafia ritornò allo studio degli stili cinesi e dei maestri del passato, come Wang Xizhi; i calligrafi più tradizionalisti rimasero fedeli a questi modelli cinesi classici, al cosidetto stile karayō, mentre i più moderni preferirono prendere a modello lo stile wayo.

Alla base della calligrafia giapponese c’è l’idea che il testo scritto non debba dare solo piacere estetico, ma che la forma debba armonizzarsi con il contenuto e anche aiutarne la comprensione. Per questo motivo certi stili sono stati tradizionalmente associati a certi tipi di contenuti; ad esempio, il kaisho per i trattati storici, il kana corsivo per i componimenti poetici.

scrittura giapponese: questo è un kakemono del periodo Edo
4. Un kakemono del periodo Edo.

La calligrafia inoltre è importante perché i suoi tratti esprimono armonia ed eleganza e veicolano un messaggio spirituale profondo, quasi sacro. Come abbiamo detto, è connessa alla religione Zen e in particolare alla cerimonia del tè: la scrittura è una delle vie per comprendere il significato della vita e la Verità; il gesto della scrittura sul foglio bianco è unico e irripetibile, se si sbaglia non si può correggere o tornare indietro; richiede perciò concentrazione, sicurezza e fluidità nell’esecuzione; prima di tracciare i segni ci si deve porre in uno stato d’animo privo di pensieri, preoccupazioni, passioni o desideri; in questo modo i tratti usciranno spontaneamente dall’interno dell’anima verso l’esterno, senza sforzo o fatica.

La calligrafia è molto importante nella cultura giapponese; è materia obbligatoria nella scuola dell’obbligo; nella scuola superiore fa parte delle materie artistiche che lo studente può approfondire a sua scelta; anche in certe università ci sono corsi specifici di calligrafia.

Fonti:

http://en.wikipedia.org/wiki/Japanese_writing_system

http://www.omniglot.com/writing/japanese.htm

http://www.japancalligraphy.eu/

http://en.wikipedia.org/wiki/Japanese_calligraphy

Immagini: da Wikimedia Commons: 1; da Flickr: 2, 3 (percent20), 4 (ellenm1).

Questo articolo fa parte della serie dedicata alla Storia della scrittura.

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